Chi non conosce il Ramo d’oro del Turner? La scena del quadro, tutta soffusa da quella aurea luminescenza d’immaginazione con cui la divina mente del Turner impegnava e trasfigurava i più begli aspetti della natura, è una visione di sogno di quel piccolo lago di Nemi, circondato da boschi, che gli antichi chiamavano «lo specchio di Diana». Chi ha veduto quell’acqua raccolta nel verde seno dei colli Albani, non potrà dimenticarla mai. I due caratteristici villaggi italiani che dormono sulle rive e il palazzo egualmente italiano i cui giardini a terrazzo digradano rapidamente giù verso il lago, rompono appena l’immortalità e la solitudine della scena. Diana stessa potrebbe ancora indugiare sulle deserte sponde o errare per quei boschi selvaggi.

Da “Il Ramo D’Oro” di James Frazer

Il mistero intorno alla sua esistenza riecheggia nel mito e nel rito, le sue proprietà sono divenute oggetto di rappresentazioni e di monografie Antropologiche. Punto in comune è l’idea che il suo possesso rappresenti una forma di passaggio, verso un luogo altro o nell’elevazione a una sovranità divina. Enea avrebbe dovuto cercare un “ramo dalle foglie d’oro” per discendere nell’Ade; un uomo avrebbe potuto divenire Alto Sacerdote di Diana Nemorensis, solamente trovando un ramo d’orato e uccidendo il proprio professore.

Nemi

Se è il presente che riscopre e dà un senso al proprio passato, viene da chiedersi quanto queste leggende siano ancora percepibili nei luoghi in cui se ne è ipotizzato “il fulcro più antico”. Stimolati anche dagli ultimi titoli ludici prodotti intorno all’epos romano (come non citare Lex Arcana e Primi Re), abbiamo deciso di fare una lunga gita a Nemi, provando a osservarla con occhi diversi. Non che ci saremmo aspettati di incappare in un Ramo Dorato sulle sponde del lago, ma ci solleticava l’idea di condurre una gita sulle tracce del passato Romano (e moderno) del borgo. Con qualche manuale nello zaino e il Ramo D’Oro di James Frazer sotto braccio, ci siamo incamminati in una lunga passeggiata tra natura selvaggia e urbanizzazione.

La Nemi moderna sorge nel Parco dei Castelli Romani, nei pressi di un antico cratere vulcanico, le cui pendici sono oggi coperte di boschi. Ormai estinto, il vulcano è oggi uno specchio d’acqua limpido, nel quale l’abitato si rispecchia. A salutarci al nostro arrivo è una fontana al centro di una rotonda, sulla quale è ritratta la Diana Nemorensis, con arco e frecce, nell’atto di correre assieme a un lupo. La cacciatrice punta verso la chiesa che affaccia su un terrazzamento a bel vedere, ma la sua direzione non è la nostra: ci incamminiamo infatti lungo la via principale, seguendo lo snodarsi delle vie del centro storico.

Entriamo in quello che è noto come largo James Frazer, uno spazio dedicato all’Antropologo Evoluzionista britannico, autore del libro sul Ramo D’Oro che abbiamo con noi. Per quanto per chi studi Antropologia gli studi di James Frazer non siano più considerabili attendibili, la sua presenza indica un certo “riconoscimento” che la città ha nei confronti dello studioso sociale. Il merito riconosciutolo dalla comunità è evidente. Nel suo testo, egli parla ad ampio spettro di riti e pratiche religiose del mondo, partendo da due punti: la storia dell’Eneide Virgiliana, in cui la sibilla consiglia a Enea di trovare un ramo dalle foglie d’oro prima di scendere nell’ade; e le figure dei Re-Sacerdoti del santuario di Diana Nemorensis, i quali potevano accedere alla carica solo trovando il Ramo D’Oro e uccidendo il proprio predecessore. È cosa nota agli addetti ai lavori che l’Antropologo abbia scritto di Nemi solo ispirandosi a informazioni provenienti da viaggiatori impegnati nel gran tour e che non abbia mai visto il paese di persona. Tuttavia ciò non gli ha impedito di guadagnarsi la stima di chi abita le sponde del lago.

Proseguiamo il nostro tour urbano costeggiando il secondo belvedere, il quale affaccia direttamente nell’alveo del lago vulcanico. Decidiamo di fermarci per una breve sosta, preferendo rifocillarci presso “Le Scalette” un ristorante di cui abbiamo già apprezzato in altre occasioni la qualità del cibo e la cordialità del proprietario.

Riprendiamo il nostro percorso, discendendo lungo la strada che dal paese conduce fino alle sponde del lago. Nel costeggiare lo storico Palazzo Ruspoli, ci imbattiamo in una serie di istallazioni monumentali che evocano riferimenti religiosi molto variegati. Ci imbattiamo in una grande madre in metallo, che ci scruta dalla sua lettiga pregna di simbologia, per poi incrociare lo sguardo altero e indagatore di una medusa, posta a guardia di una fontana comunale. Elettrizzati, discendiamo verso la vallata, in una lunga camminata tra la natura rigogliosa. Dall’alto scorgiamo i ruderi del Tempi di Diana, tappa obbligata di questa nostra passeggiata culturale.

Decidiamo di compiere una sosta al Museo delle Navi Romane, un’istallazione inaugurata in epoca fascista e realizzata dopo che si decise di riportare a galla, ed esporre, le due enormi navi romane inabissate all’interno del Lago di Nemi. Secondo le fonti, questi due vascelli non erano propriamente adibiti alla navigazione (siamo pur sempre in un lago), ma la loro funzione primaria era quella di fornire un luogo conviviale e galleggiante per l’imperatore Caligola e i suoi sodali. Visitiamo il museo con la consapevolezza che quello che vediamo oggi non è ciò che venne esposto durante il ventennio fascista: infatti, durante la seconda guerra mondiale il museo subì i danni di un vasto incendio che distrusse lo scheletro delle grandi navi. Oggi restano visibili alcune parti delle due imbarcazioni, le parti che non sono state erose dal fuoco e molti monili, piccoli gioiello e oggetti di metallo, sopravvissuti all’incendio o esposti nell’area museale dopo la sua riapertura. Il museo è anche occasione per osservare, attraverso le fotografie dell’epoca, come fosse la Nemi del tempo e l’equipe di lavoro che ruotò intorno al monumentale intervento di recupero delle navi dal lago. Con la consapevolezza della funzione “politica” del mezzo fotografico, ci immergiamo in una storia molto più recente, ma che si ritrova a fare i conti con un passato mitico (e miticizzato) che ritorna. Se non vi fosse stato un interesse archeologico-culturale, basato sulla mitizzazione del passato del luogo e della nazione, difficilmente il regime si sarebbe impegnato nella costosa attività di recupero delle imbarcazioni. Prima di prendere la strada per il Tempio di Diana, decidiamo di fare qualche altro passo nella storia: all’interno del museo è presente anche un lungo tratto di strada Romana, la quale prosegue oltre il perimetro del museo, ancora interrata e presumibilmente intatta. Avendo la possibilità di muovere qualche passo sulle antiche lastre di pietra, decidiamo di approfittarne per fare qualche piccola congettura: probabilmente la strada conduceva realmente alla nostra prossima meta.

La giornata inizia ormai a declinare e cerchiamo di capire dove si acceda per visitare i resti del Tempio di Diana. Non potendo confidare in nessuna forma di cartellonistica, venuto meno anche l’aiuto di papà Google, decidiamo di comportarci come i protagonisti delle leggende intorno al Ramo D’Oro: armati di spirito di avventura, ci mettiamo alla ricerca della nostra meta, addentrandoci all’interno di stradine secondarie che declinano in tante proprietà private. Facendoci tentare da un cartello che richiama al Tempio di Diana, entriamo all’interno di quella che ci sembra una sorta di maneggio. Veniamo accolti da una signora del posto, la quale ci spiega che, quando non è impegnata, accompagna volentieri i visitatori al Tempio. Ci dice di stare tranquilli, poiché la Dea protegge quei luoghi e ci indica la via per visitare il Tempio in autonomia. Leggermente storditi da quell’incontro inaspettato, con la benedizione accordataci, seguiamo le sue indicazioni, fino a giungere in un ampio prato. Alla nostra vista, tra l’erba alta, scorgiamo le sagome in lontananza delle rovine, ma il passaggio ci è sbarrato da una sequenza di recinti con il divieto d’accesso. Come abbiamo scoperto in seguito, non è sempre possibile accedere all’area delle Rovine. Torniamo così indietro, con la consapevolezza di essere arrivati vicini “al nostro Ramo D’Oro”, ma con l’impossibilità di riuscire a raggiungerlo.

Dopo aver preso con noi alcune tortine alla crema, guarnite con le caratteristiche fragoline di bosco, ci fermiamo a osservare il tramonto presso il bel vedere degli innamorati. Un’area verde e panoramica, alla quale si accede attraverso un camminamento roccioso, dove zampilla acqua di sorgente e si formano alcune cascatelle molto suggestive. Osserviamo il lago da una prospettiva di vicinanza, mentre il cielo si tinge di rosso e di blu. Immaginiamo quei paesaggi attraverso gli occhi dei personaggi dei nostri giochi di ruolo, chiedendoci se anche loro, di fronte a uno spettacolo come quello, provino le stesse emozioni.

Gli incontri inattesi della giornata e le incursioni nella storia, ci portano alla mente alcune idee che leggiamo nell’esperienza della giornata: la calma di un luogo immerso nel verde, in cui l’uomo è in continuo dialogo con il mondo naturale. Dialogo che, in alcuni frangenti, si tramuta anche in un fare i conti con il mondo naturale che ospita l’elemento umano. Quella del Ramo D’Oro, fittizio o reale che lo si possa considerare, per noi va letta come un’esperienza di viaggio: dove non conta la meta, ma chi si sceglie di essere durante l’intero tragitto. È tempo per noi di rimetterci in cammino. La luce diviene la protagonista dell’orizzonte mutevole del tramonto. E il tempo, dall’uomo, torna nel flusso degli istanti.

…quale colore avrà la ragnatela che il fato sta ora intrecciando sul telaio del tempo? Sarà bianca o rossa? Non lo sappiamo. Una pallida, tremante luce illumina le parti già ordite. Il resto è avvolto nell’oscurità, nella nebbia.»

 James Frazer, Il Ramo D’Oro