Il centro urbano più importante della regione è senza dubbio Colonia Julia Concordia Carthago, la città sorta sulle rovine dell’antica capitale punica, distrutta ai tempi degli Scipioni. La Carthago attuale è una vera metropoli e dal suo porto, uno dei più grandi e affollati di tutto l’impero, salpano quotidianamente verso Roma, l’Italia e tutti gli altri principali porti del Mare Internum, navi cariche di prodotti agricoli, vasi di ceramica, preziose lampade e persino feroci belve destinate agli anfiteatri.
Carthago è capoluogo provinciale della Numidia e qui vengono selezionati gli aspiranti Custodes delle province di Numidia e Mauretania.
La città alta è un glorioso esempio della sapienza dei nostri architetti: l’antica collina di Byrsa, già anticamente sede dell’acropoli cartaginese, è stata infatti completamente rimodellata con l’aggiunta di giganteschi contrafforti e imponenti scalinate sui fianchi. Sulla cima sorge la più vasta area pubblica esistente al di fuori di Roma e ogni volta che vi salgo provo una gioia immensa nel considerare che il cuore dell’antica regina dei Mari batte ormai all’unisono con quello del Tuo glorioso Impero.

Dal rapporto di Ennio Valente all’Imperatore Teodomiro.

Carthago, espansione di Lex Arcana, 1996.

La cronaca delle sue vicende è rimasta impressa in tutti i libri di storia, la sua ferrea opposizione all’Urbe Repubblicana è diventata oggetto di poemi epici. Tra le due potenze del mondo antico si è consumata una guerra lunga un secolo, drammatica e sanguinosa, in grado di trasformare intere famiglie di condottieri in Eroi tragici. Figure come Annibale e Scipione l’Africano sono entrate nel mito, influenzando l’immaginario dei secoli a venire: da Cabiria di Giovanni Pastrone, con la sceneggiatura di Gabriele D’Annunzio, alla Carthago del gioco di ruolo Lex Arcana.

Il rapporto tra Roma e Cartagine, però, non si limita al Carthago delenda est di Catone il Censore. Oltre agli episodi bellici, infatti, sono stati molti i momenti di incontro tra le due culture, influenzatesi positivamente a vicenda. Una storia minore, spesso non detta a favore dell’immagine stereotipata dei cartaginesi mangiatori di uomini. Si sa, la storia la scrive chi la vince!

E’ per questo però che noi Viaggiocatori abbiamo particolarmente apprezzato la mostra “Carthago. Il Mito Immortale”: tentativo ben riuscito di recuperare il filo rosso che collega le due culture, mettendo in luce le reciproche peculiarità e i punti di unione, più che le divergenze. La prima grande mostra interamente dedicata alla storia e alla civiltà Cartaginese resterà fino al 29 marzo 2020, allestita in tre luoghi diversi del Parco archeologico del Colosseo. Si inizia nell’anello superiore del Colosseo, si prosegue nel Tempio di Romolo e si conclude nella Rampa Imperiale. La disposizione dei 409 reperti è stata scelta accuratamente per mostrare l’ampiezza di un periodo cronologico, in cui si concentrano numerosi ritrovamenti dalla forte valenza documentaria. Tutti i pezzi esposti provengono da collezioni museali Italiane, Tunisine, Maltesi, Tedesche, Libanesi, Spagnole e Vaticane.

Partecipare alla conferenza stampa, tenutasi nell’arena dell’anfiteatro, ci ha permesso di visitare in anteprima l’esposizione, che abbiamo deciso di documentare in un viaggio per immagini. La forza e la fortuna di questo incontro tra culture ci ha dato nuova ispirazione: passeggiare tra le volte del Colosseo, osservando da vicino oggetti appartenenti a un quotidiano ormai estinto, ci ha fatto provare cosa volesse dire essere un abitante del mondo antico.

Una Cartagine prima e dopo la conquista romana che, nel nostro piccolo, abbiamo associato alla Carthago prima e dopo la nuova edizione di Lex Arcana. Se, quindi, pensate anche voi di passeggiare nel passato così da essere pronti per la prossima sessione di gioco, vi consigliamo di seguirci. La nostra guida d’eccezione sarà Ennio Valente, Magister del Cursus Legatorius della Numidia, e il suo rapporto, datato 1233 a.U.c.

«Nell’Antica capitale punica, come in tutto il resto della Numidia, la spietata religione cartaginese non è affatto scomparsa, come tutti credono o vogliono credere, e stende ancora un velo insanguinato sul popolo e sulle istituzioni stesse, preparando la strada al ritorno del Divoratore di Infanti, il dio fenicio Baal-Moloch.»

La mostra si apre con la statua di Moloch, così come fu creata per Cabiria nel 1914. Un colosso dorato, con le fauci aperte, pronto a divorare i cento bambini immolati dai cartaginesi. La stessa statua è raffigurata sulla copertina dall’espansione di Lex Arcana del 1996. A differenza della prima edizione, però, Cartagine non ha un volume a lei dedicato. La Numidia è, infatti, una delle province descritte nel manuale base. La speranza è che presto ne sia fatto un volume a parte come per Aegyptus. Ma non è tutto: Moloch è, in realtà, il nome del sacrificio di fuoco fatto in onore di Baal Hammon. Nessuna divinità, quindi, reca questo nome. Secondo alcune fonti però i cartaginesi avrebbero collocato dei bambini nelle mani della statua metallica del dio, posta in santuari chiamati tofet, e avrebbero poi acceso il fuoco. Molte le urne, stele e iscrizioni votive, così come gli amuleti e i resti di piccoli animali, esposte nel percorso della mostra. Il confine tra i riti di sangue descritti nel manuale e la realtà storica, quindi, è poi così netto? Indubbiamente tra monili, monete e le ricche descrizioni dei reperti, la visita a Carthago, il Mito Immortale non può che fornire spunti.

Soprattutto in epoca imperiale, le persecuzioni si fecero sempre più rare, fino a sparire del tutto. Ufficialmente, il culto di Baal-Moloch è scomparso o, al massimo, sopravvive come fenomeno isolato in sperdute località della Numidia; in realtà, quasi tutta la popolazione di Carthago è devota al dio e, quando il sole tramonta, lo venera con preghiere e sacrifici in quei luoghi ove le ronde non si spingono. Nessuno sembra rendersi conto dell’immenso pericolo che si cela nella Carthago oscura.

La morte è, quindi, solo l’inizio di un viaggio. In Fenicia è prevalente l’inumazione, soprattutto in ipogei, sarcofagi o fosse e, proprio dalla Necropoli di Sainte Monique di Cartagine, proviene il sarcofago detto “della sacerdotessa alata”. Un manufatto in marmo policromo risalente al IV secolo a.C., mai esposto prima, che introduce la narrazione sulla vita (e la morte) cartaginese. Nella teca di fronte capeggia invece la riproduzione del cosiddetto Virgilio Vaticano, uno dei manoscritti latini contenente l’Eneide Virgiliana, stupendamente miniato. Mostra l’addio di Didone, regina cartaginese, dopo l’abbandono di Enea. I due reperti sono l’uno di fronte all’altro, quasi a guardarsi: un accostamento interessante, se pensiamo che nella grande forbice tra la realtà storica e il mito, si pone il ciclo vitale della società Cartaginese.

Tra i reperti che maggiormente hanno catturato la nostra attenzione: il set di ceramiche, uno dei ritrovamenti più antichi per datare gli albori della città, attorno all’VIII secolo a.C.; le stele, le cui iscrizioni riportano il commiato di persone scomparse da tempo; dieci statuette di bronzo, che sembrano ricambiare il nostro sguardo, che risalgono a circa 3800 anni fa. In quante mani saranno passati? Quali storie potrebbero raccontarci? Proseguiamo e le sorprese non mancano. Didone è certamente un personaggio mitico, ma a quanto pare Cartagine non ha mai avuto dei monarchi, bensì dei Sufeti (magistrati annuali provenienti da classi oligarchiche) e delle assemblee dalle varie funzioni amministrative. La lastra edilizia che abbiamo di fronte sembra dare ragione a questa idea: non solo vengono nominati due Sufeti, Shafat e Adonibaal, ma anche un’autorità centrale chiamata il “Popolo di Cartagine”. La città, nel III secolo a.C, doveva essere un centro urbano in grande trasformazione, vivo e pulsante nel suo commercio.

L’artigianato occupa un posto centrale nella mostra e il nostro sguardo è rimasto rapito dalle forme e dai colori, ancora ben visibili, su gioielli e su oggetti di uso pratico e quotidiano. Decisamente più insoliti, quanto caratteristici, sono i pendenti a testa maschile barbuta. Per chiunque volesse rendere più realistiche le proprie partite a Lex Arcana, uno studio attento di quest’ala della mostra, è d’obbligo. Particolarissime le ciotole contenenti i resti di grano carbonizzato, risalente al V secolo a.C., forse resti di qualche offerta votiva. O le riproduzioni in ceramica di prodotti per la tavola in miniatura, con tanto di forni e tavoli.

Chiude il giro una sezione dedicata agli armamenti, con tanto di rostri impiegati nella Battaglia delle Egadi!

Il Tempio di Romolo

Fu Ottaviano Augusto a dare il via alla fondazione della Colonia Julia Concordia Carthago, chiamata così in memoria del suo predecessore e consacrata, come lui voleva, alla dea Concordia. Alla colonia, che fu il primo esempio di città romana di nuova fondazione eretta all’esterno del suolo italico e primo insediamento di coloni romani, venne destinato un vasto territorio che si estendeva per quasi cento miglia verso occidente. La nuova Carthago visse il suo pieno sviluppo nei primi secoli dell’Impero, grazie anche ai numerosi privilegi che le furono accordati. L’insediamento venne organizzato secondo un impianto urbanistico romano che, per esplicito invito del Collegio dei Pontefici, fu eretto sopra ciò che restava delle vestigia puniche, nel tentativo di cancellare definitivamente ogni traccia dell’antica potenza rivale.

Lasciamo l’anfiteatro Flavio per entrare nei Fori Imperiali, dove raggiungiamo il Tempio di Romolo. La scelta del luogo è davvero ottima: gli affreschi cristiani circondano la sezione dedicata all’incontro tra la cultura romana e quella cartaginese. L’unione non è stata certo facile e ha attraversato differenti fasi, alcune pacifiche e altre più tese, fatte di fitti scambi commerciali. Primo segno della Romanizzazione di Cartagine è la diffusione del culto di Saturno, il quale rimarrà, specie nelle aree rurali, fino al VI secolo, resistendo alla diffusione del cristianesimo. La romanizzazione del culto ha cambiato sia la ritualità che i luoghi di culto Cartaginesi: tutto si fa più monumentale e coperto, mentre i sacrifici infantili vengono proibiti.

Molti reperti testimoniano anche come la cultura fenicia fosse approdata nel sud Italia. Tra i reperti che più ci hanno affascinato vi è una lastra, ritrovata nell’area dell’allora Acropoli di Cossyra: nel marmo un’incisione, ancora visibile, menziona un epiteto del dio Melqart/Ercole chiamandolo figlio di Baal. Nella stessa area, entrata nel I secolo a.C. nell’orbita Romana, sono state ritrovati anche busti relativi al culto Imperiale Romano, segno di una convivenza tra le due forme culturali.

Rampa Imperiale

Il nostro viaggio, così come quello della mostra, si conclude nella Rampa Imperiale, dove la Cartagine Romana e Cristiana viene raccontata anche con l’ausilio di tecnologie multimediali. Ad accoglierci vi è una proiezione animata della città Cartaginese, accompagnata dai celebri versi dell’Eneide di Virgilio: nelle sue parole la descrizione di ciò che scorse Enea, alla prua della sua imbarcazione, avvicinandosi al Golfo di Tunisi.

Indubbiamente gli occhi di Virgilio non erano gli stessi dell’attonito Scipione Emiliano, intento a osservare Cartagine bruciare: dopo aver visto le tracce della sua vita quotidiana, fa un certo effetto vedere i residuati bellici della campagna del 146 a.C. In una teca, ora inoffensivi, riposano punte di giavellotto, proiettili di catapulta e fionda, altri strumenti muti della violenza che si consumò tra Romani e Cartaginesi: di un certo impatto, se si pensa un po’ con la fantasia, è il residuato di metallo fuso esposto sotto vetro.

Nella visione di Augusto, tuttavia, Cartagine avrebbe dovuto risorgere come una seconda Roma: e il disegno del lungimirante imperatore è di fatto divenuto realtà. La magnificenza della nuova colonia si esprime in teatri, terme e luoghi monumentali, ma il tratto più importante, per raccontare la sua nuova vita, restano le ville e le domus. In particolare, i loro mosaici.

La scelta adoperata dai curatori della mostra è lodevole: infatti, molti di questi mosaici sono proiettati direttamente sul pavimento, dando l’opportunità al visitatore di poterci camminare sopra, di osservarli da vicino e di vederli cambiare. In altre parole, di poterli vivere. Ogni mosaico racconta un pezzo di storia, della complessità della nuova vita e del desiderio di mostrarsi a chi doveva venire in visita. E noi, per rispetto, siamo entrati in punta di piedi.

Chiude la mostra il nuovo linguaggio assunto dall’arte Cartaginese, ovvero quello della simbologia Cristiana. L’ultimo mosaico è quello detto Della dama di Cartagine, in cui emerge tutto il ruolo, personificato in un’icona della città. Cartagine venne infatti liberata dalla morsa dei Vandali dall’Impero Bizantino e la sede vescovile tornò a rappresentare gli interessi della chiesa nord Africana.  

Per Cartagine comincia una nuova fase culturale, in cui si andranno a stemperare, ma mai a sparire del tutto, i tratti misti della cultura Romano-Cartaginese. È per noi tempo di recarci all’uscita, di lasciare questo mondo e i suoi personaggi.

«La città si presenta, agli occhi di un visitatore occasionale, con le stesse caratteristiche urbanistiche e architettoniche riscontrabili in ogni grande città dell’impero. Ma solo a uno sguardo attento di un conoscitore della storia locale è possibile notare come la Cartagine romana stia progressivamente assomigliando sempre più a quella del passato, senza che ciò susciti allarme. Qui la Legio III Augusta sorveglia il territorio, testimone del vitale apporto che l’Africa ha dato alla potenza romana: non parlo solo delle migliaia di derrate alimentari che fruiscono nei granai imperiali ogni anno, né delle migliaia di abili cavalieri che hanno militato nelle schiere legionarie, ma anche delle menti egregie che hanno avuto qui i loro natali: famosi giuristi, cavalieri, illustri scrittori come Apuleio, uomini pii e religiosi (i vescovi agostino e Cipriano) e addirittura Imperatori come nel caso di settimo severo e Marco Opello Macrino. Dell’antica Carthago non sono rimaste che rovine, ma evidentemente la città ha continuato a esercitare un irresistibile fascino. Oggi può essere considerata nuovamente una grande metropoli e ha guadagnato di diritto l’appellativo di “Roma africana”.»